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Inzaghi aziendalista per l’Inter in una Serie A di lamento continuo

Inzaghi in due anni all’Inter, con la partita più importante della sua carriera ancora da preparare, ha dimostrato di poter essere un modello non solo vincente. Un esempio che in Serie A, tra gli allenatori, stona. Intanto tutte le critiche e le etichette gli scivolano addosso

PRO AZIENDA – Essere aziendalista nel calcio non è visto di buon occhio. Ma cosa vuol dire “essere aziendalista” in Italia? L’Enciclopedia Italiana “Treccani” dà questa precisa definzione di aziendalista: “Chi sostiene e pratica l’aziendalismo, cioè la difesa ad ogni costo degli interessi aziendali, e manifesta convinto attaccamento alle sorti dell’impresa”. Nel mondo del calcio il termine è spesso affibbiato a un semplice tifoso che difende la propria squadra, quindi la propria fede, a spada tratta. Anche sostenendo il falso. Ci sono tanti giornalisti-tifosi (o tifosi-giornalisti?) che possono essere definiti tali, purtroppo. Ma anche chi lavora da protagonista nel settore. Ad esempio gli allenatori. E Simone Inzaghi mediaticamente è considerato molto aziendalista. Lo era nella sua comfort zone laziale, lo è (stato) all’Inter e per l’Inter. Ma è davvero così? Solo in parte.

Il primo deciso sì di Inzaghi all’Inter

YES MAN – Inzaghi aziendalista è un motivetto che prende piede dopo il rumoroso addio di Antonio Conte, appena scudettato, al mondo interista. L’Inter va su un allenatore emergente, giovane ma talentuoso. Ambizioso sì ma gestibile a livello caratteriale. Costoso ma molto meno di altri profili per la panchina. Tradotto: lo Yes-Man Inzaghi dice sì all’Inter in un momento storico in cui tutti gli altri direbbero no. Ed è questo il concetto di “aziendalista” in relazione al ruolo di allenatore. Il calciomercato? Va bene ciò che decide e fa la società, sia acquisti (improvvisati) sia cessioni (dolorose). La rosa? Perfetta così com’è, a prescindere da caratteristiche e ruoli, nomi e numeri. Gli obiettivi? Tutti raggiungibili, anche se non sarà facile per la dura competizione in Italia e in Europa ma chissà… Inzaghi si presenta agli occhi dell’Inter così. Poi cambia. Drasticamente.

La trasformazione inzaghiana all’Inter

NO MAN – Il comportamento di Inzaghi cambia già dopo la prima stagione, quando raggiunge tutti gli obiettivi stagionali ma gli viene attribuita la colpa esclusiva dello Scudetto perso per un punto. Discorso troppo ampio da affrontare ma sicuramente non riassumibile nel banale “è solo colpa di Inzaghi”. Così in estate l’allenatore dell’Inter inizia ad alzare la voce a calciomercato aperto. Non basta il “regalo” Romelu Lukaku (vedi focus). Inzaghi chiede rinforzi specifici. E viene accontentato sul gong con il “pupillo” Francesco Acerbi (vedi focus). Aziendalista? Forse sì. Probabilmente solo realista, però. La prima parte di stagione è da buttare e si parla già di esonero, ma prima di Qatar 2022 l’Inter è ancora viva. E Inzaghi pure. Gli alti e bassi continuano. A gennaio arriva il primo trofeo (Supercoppa Italiana), impossibile mandarlo via. Tra febbraio e marzo si aspetta solo il passo falso decisivo per farlo saltare ma non arriva né in Italia (Coppa Italia) né in Europa (Champions League). Ciò che succede da aprile in poi è storia. E lo sarà fino a Manchester City-Inter (vedi focus). Inzaghi, con classe e stile da vendere, inizia a togliersi qualche sassolino dalla scarpa ma alcuni sono massi. L’Inzaghi aziendalista non esiste più ma solo ora, una volta diventato No-Man come gli altri colleghi, merita la conferma all’Inter. E gli altri?

Inzaghi e l’Inter tracciano la strada

MODELLO INTER – Spulciando la classifica di Serie A, l’essere aziendalista sembra non andare più di moda… sulla scia di Inzaghi. Nel frattempo Luciano Spalletti (vedi focus) vince lo Scudetto e chiede al Napoli di lasciarlo andare. Anno sabbatico, dice. Qualche screzio di troppo, dicono. Il secondo in classifica Maurizio Sarri chiede rinforzi alla Lazio per restare, minacciando l’addio. Lo stesso fa il quarto Stefano Pioli, che li pretende per tornare a vincere dopo un anno di sole sconfitte ma il Milan inizia a guardarsi intorno. Idem il quinto Gian Piero Gasperini, che non è più disposto a fare miracoli per l’Atalanta e prepara i bagagli. Nulla da aggiungere su José Mourinho, sesto e già provato dall’ambiente Roma ma sempre protagonista in campo e fuori. Si arriva così al settimo (per ora…) Massimiliano Allegri, che continua a contare 10 punti in più per insabbiare il fallimento della sua Juventus a tutti i livelli. E così via scendendo. Tutti gli allenatori si lamentano in Serie A, ormai pubblicamente. L’aziendalismo non esiste più. E a giudicare da ciò che Inzaghi ha costruito con il Presidente Steven Zhang (vedi editoriale), siamo sicuri che il modello Inter non sia quello giusto? Il discorso è semplice: confondere la professionalità e il rispetto dei ruoli per aziendalismo è tipico di un sistema marcio. Inzaghi è una mosca bianca tra gli allenatori della Serie A e l’Inter non può che essere onorata del suo (primo) deciso sì.

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