Pavard, dopo aver mandato un messaggio chiarissimo a Inzaghi, parla a cuore aperto delle sue origini e del legame con la sua famiglia. Poi rivive le emozioni del Mondiale vinto con la Francia, del suo gol contro l’Argentina e per finire snocciola qualche curiosità personale e su… Thuram! Di seguito la terza e ultima parte della lunga intervista concessa a DAZN
MONDIALE E NON SOLO – Benjamin Pavard non dimenticherà mai il Mondiale vinto con la Francia. Il difensore dell’Inter parla anche delle sue origini: «Quando vivi certe emozioni, come la vittoria di un Mondiale, il trofeo più importante in assoluto, hai voglia di gustarne ancora di gioie così e di condividerle con i tifosi. Il mio Paese d’origine? Sono uno “Ch’ti”, anche se non ho l’accento come altri. Però sono fiero di provenire da Nord-Pas de Calais, faccio il tifo per tutti i club della regione, anche quelli più piccoli, quelli amatoriali dove giocano i miei amici. Essere del Nord è un orgoglio per me e significa avere lì la famiglia, gli amici, il mio vecchio club. Queste sono cose importanti per me».
LEGAMI – Pavard prosegue spiegando il forte legame con la sua famiglia: «Quando sono partito ho lasciato un posto in cui ero vicino ai miei amici e alla mia famiglia. Quando avevo un problema potevo contare su mamma e papà, prendevano e mi raggiungevano, ero a meno di 100 km di strada. Ma decisi di partire per crescere, sia come persona che come calciatore. Sono arrivato a Stoccarda in un ottimo club, ho ancora forti legami con le persone che ci lavorano. Non dico sia stato sempre facile, ero giovane e lontano dalla famiglia, ma è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere. I miei genitori vengono quasi sempre a vedermi giocare allo stadio, anche adesso a Milano. Sono molto importanti per me. Sono partito molto giovane, quando iniziai la scuola secondaria, ero da una famiglia che mi ospitava. In più, essendo figlio unico, non è stato facile. Tuttavia sono grato ai miei genitori, se oggi sono qui è merito loro».
MENTE FORTE – Pavard parla poi dell’aspetto mentale, fondamentale per lui e per chi ambisce a giocare ad alti livelli: «Assolutamente, per un giocatore di alto livello è proprio così. Io non sono un genio del calcio come Messi, sono un ragazzo che ha sempre lavorato. Nessuno mi ha regalato niente e tutto quello che ho adesso me lo sono guadagnato con il lavoro. Anche nei momenti difficili non ho mai mollato e non mi sono mai abbattuto. Devo questa cosa a mio padre, ha una grande forza mentale e me l’ha trasmessa. Avere una giusta mentalità, sia nei momenti belli che in quelli difficili, è la chiave per fare una grande carriera nel calcio».
MOMENTI PASSATI – Pavard ritorna al gol messo a segno contro l’Argentina al Mondiale, ma allo stesso tempo guarda avanti: «È stato un momento unico per me, per la squadra e per tutta la Francia. Un momento che rimarrà scolpito nella memoria mia e dei francesi perché è stato un grande gol in una partita importante, ma dall’altra parte non lo nascondo… continuo a guardare avanti. È passato un bel po’ di tempo da allora. Preferisco pensare al presente. E al futuro».
CURIOSITÀ – Pavard chiude snocciolando qualche curiosità, non solo personale: «Qual è la partita che vorrei cancellare? Sinceramente, direi la sconfitta con il Manchester City (11 aprile 2023, quarti di finale di Champions League, ndr). Lo stadio più bello? Inter, San Siro. Il mio idolo d’infanzia? Sergio Ramos, mi piacciono il suo stile di gioco e la sua grinta. È un esempio per me. Il sacrificio più grande? Non è un sacrificio, giocare a calcio ad alto livello è un privilegio, dare gioia alle persone che vengono allo stadio. A volta si saltano i compleanni, il Natale, Capodanno con la propria famiglia ma non ci lamentiamo perché facciamo il mestiere più bello al mondo. L’attaccante più difficile da marcare? È difficile, dovrei pensarci: direi Eden Hazard. Il piatto preferito? Una ricetta del Nord, le polpette. Ma in generale le friterie del Nord e del Belgio. Il compagno che ascolta la musica peggiore? Direi Marcus Thuram. Ascolta di tutto ma non è il top, invece quella che ascolto io non è male».
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